Quadro allarmante per il pianeta che "vive"


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Sul “Rapporto 2008 del WWF” non sono usciti molti comunicati. Il più “sostanzioso” ci è apparso quello del prof. Alberto Martinelli, docente di Scienze politiche all’Università statale di Milano.

Secondo il prof. Martinelli, il Rapporto “Living planet 2008″ presenta un “quadro allarmante della crisi dell’ecosistema terrestre, ma propone anche come concretamente farvi fronte” La crisi finanziaria globale ha messo chiaramente in evidenza i fallimenti del mercato non regolato e i rischi di una corsa incontrollata a guadagni apparentemente facili e a consumi al di sopra delle nostre possibilità. La recessione della economia reale riduce paradossalmente i rischi di degrado ambientale, ma non costituisce certo una soluzione. Non si deve arrestare la crescita economica, ma si deve crescere meglio, in modo sostenibile, rispettando il lavoro umano e l’ambiente. Esiste invece il rischio concreto che si consideri la ripresa economica una priorità assoluta e la politica ambientale un lusso che governi, imprese e cittadini non possono permettersi in tempi di crisi, come ha mostrato anche la recente controversia tra il governo italiano e l’Unione Europea circa l’attuazione della politiche necessarie per conseguire gli obiettivi concordati di riduzione delle emissioni di gas serra e di risparmio energetico entro il 2020. È vero che altri attori, come ad esempio la Confindustria, hanno assunto un atteggiamento più attento alle grandi potenzialità di un’industria ambientale e di una produzione ambientalmente compatibile, ma la tesi «adesso pensiamo a riprendere la crescita, all’ambiente ci penseremo poi» è ancora molto forte e va contrastata

II Living planet report 2008 si compone essenzialmente di due parti, una di «evidenze scientifiche» ampiamente corredata di indicatori e dati, e una di proposte miranti a «ribaltare la situazione». Rispetto alle edizioni precedenti, vi è l’importante novità del calcolo dell’impronta dei nostri consumi sulle risorse idriche della terra ( e va rilevato a questo riguardo che gli italiani sono ai vertici della classifica mondiale degli «spreconi» di acqua).

Due i concetti chiave: l’indice del «pianeta vivente» ovvero della bio-diversità globale, costruito mediante l’analisi di circa 5 mila popolazio ni di 1.686 specie di vertebrati (mammiferi, uccelli, rettili,anfibi, pesci) delle regioni temperate e del le regioni tropicali del mondo; e le «impronta ecologica» che misurò l’entità e la qualità della nostra domanda di risorse produttive della biosfera (terreni agricoli, pascoli, foreste e stock ittici necessari a produrre cibo, fibre, legname, costruire infrastrutture, assorbire i rifiuti che generiamo). Sia l’indice del pianeta vivente sia l’impronta ecologica sono calcolati a livello globale e per singoli Stati e gruppi di Stati del mondo.

Nel 2005 l’impronta ecolo gica globale era di 17,5 miliardi di ettari globali corrispondenti a 2,7 ettari prò capite, a fronte di un’area produttiva globale o biocapacità che ammontava a 13,6 miliardi di ettari globali corrispondenti a 2,1 ettari pro capite.

L’impronta ecologica ha superato per la prima volta la capacità rigenerativa del pianeta negli anni ’80 del secolo scorso e nel 2005 la domanda ha superato l’offerta di circa il 30%. Pjjù di tre quarti degli abitanti della Terra vivono in Paesi in cui i consumi nazionali superano la biocapacità del paese; in Italia l’impronta ecologica totale è di 4,8 a fronte di una biocapacità totale di 1,2. Nell’arco degli ultimi trentacinque anni l’indice della biodiversità globale è diminuito di circa il 30% (nonostante si sia stabilizzato in alcune zone temperate). In altri termini, risorse fondamentali a cominciare dall’acqua diminuiscono sempre più, mentre si accumulano i materiali di scarto nell’aria, nella terra e nell’acqua. Le conseguenze sono il riscaldamento climatico (l’estate scorsa la calotta polare artica è stata per la prima volta interamente circondata dall’acqua), la deforestazione, la diminuzione di biodiversità, la carenza d’acqua. Se la nostra impronta ecologica continuerà a crescere a questi ritmi, afferma il Rapporto in toni drammatici, tra circa 30 anni avremo bisogno di due pianeti per mantenere i nostri stili di vita e modelli di consumo…”