Ricco “Dizionario” delle cucine locali


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La cucina italiana beneficia delle ricchezze delle tradizioni culinarie locali e degli ingredienti che contraddistinguono la maggioranza delle aeree dello Stivale: mare, monti, colline, laghi e pianure. Ed è anche il risultato di culture che hanno avuto una particolare sensibilità verso il cibo, visto non solo nella sua forma più essenziale, ma anche come elemento per ottenere piacere o addirittura ostentare ricchezza e potere.
La nostra cucina nazionale si può quindi definire come un insieme di culture e tradizioni regionali: spesso i piatti sono nati da circostanze storiche e non pochi risultano essere gli aneddoti sviluppatisi intorno alla creazione di ricette diventate capisaldi della nostra cultura gastronomica. Ad aiutarci nella penetrazione di questo complesso universo c’è ora il Dizionario delle cucine regionali italiane (a cura di P. Gho, Slow Food editore, pp768, € 23), vasto inventario di prodotti, pratiche e piatti che costituiscono il corpo dell’italica tradizione.
Col dichiarato intento di essere strumento di lavoro (per restare viva e vitale, qualunque tradizione deve essere praticata ma, prima di tutto conosciuta) quest’opera sgombra il campo dalle tante asistematiche e scientificamente inattendibili pubblicazioni degli ultimi vent’anni. Ricco di quasi diecimila voci, riporta anche pezzi di archeologia culinaria come il ris e trigoi (piatto mantovano che prevede l’utilizzo della castagna d’acqua, scomparso perché questa pianta non sopravvive all’inquinamento dei nostri fiumi), la torta Umberto (creata da un pasticcere reggiano in onore di re Umberto I) e i tagliolini in brodo con gli inciampi (piatto toscano riservato alle grandi occasioni, a base di fegato di pollo).

(Gianluca Montanaro – “Il Domenicale”)