Roma, 5 novembre 2012 - Il saluto di Isabella Rauti nella Basilica di San Marco


https://www.youtube.com/watch?v=YrTQfCPnaGU

In ricordo di mio padre
5 novembre 2012, Basilica di San Marco Evangelista, Roma

(Trascrizione testuale)

di Isabella Rauti

Mio padre è stato un politico puro, un ideologo, un intellettuale e un sognatore carismatico. Ha animato di sogni, di idee e di cultura una comunità umana e politica; generazioni diverse, e sicuramente ha animato tutta la mia vita.

Di mio padre sono state ricordate in questi giorni anche le intuizioni; parlava di ecologia molto prima dei Verdi, parlava di nuove povertà sociali prima della grande crisi che stiamo attraversando, parlava della necessità della difesa dell’identità nazionale prima che la globalizzazione fosse un sistema, ideava per noi per i giovani della destra dei capeggi comunitari, mai vissuti prima, li chiamava campi Hobbit, quando in Italia Tolkien e la fantasy erano soltanto di nicchia e molto altro ancora.

Non è mai stato un reazionario mio padre e non è mai stato un nostalgico e neppure un conservatore, un rivoluzionario si, un rivoluzionario che disegnava il futuro, guardava dritto davanti a sé, guardava la modernità ma la guardava sempre con il rigore, talvolta anche con il limite, sicuramente con la sofferenza di chi resta sempre coerente con se stesso. Anche le sue innumerevoli elaborazioni culturali, anche le sue provocazioni, fino allo sfondamento a sinistra che abbiamo ricordato, tutte sempre, si riconducevano alla questione, centrale per lui, dell’identità più profonda.

Io oggi voglio ricordare con voi – e vi ringrazio tutti per questi tre giorni trascorsi insieme per questa partecipazione a questo ultimo saluto – il padre affettuoso ed avvolgente e la figura del nostro privato.

Mio padre incontrò mia madre in una sede di partito a pochi passi da qui. Cinquanta anni e più di matrimonio, militanza comune che io ho guardato sempre con ammirazione, tra affermazioni, successi, insuccessi; sempre e comunque insieme nella sobrietà di una coppia militante.

All’alba a casa mia nel silenzio potevi sentire il rumore dei tasti della sua macchina da scrivere l’Olivetti mai abbandonata per il computer, con il quale però negli ultimi tempi navigava in internet, e la sera ricordo mia madre ad attenderlo a riscaldare la cena per lui perché la riunione al partito o a via Scipioni finiva tardi.

Ricordo il suo arresto del 1972 davanti ai nostri occhi di bambini, di mia sorella e miei – mia sorella è qui e parlo anche a nome suo -. Ricordo le sue lettere dal carcere; ricordo la sua candidatura in prigione e la sua scarcerazione alcuni mesi dopo perché diventato deputato eletto con oltre 100.000 preferenze; ricordo i comizi, come li ricordate tutti voi, le emozioni congressuali, la passione; ricordo la nascita di un giornale Linea, per anni laboratorio di una destra italiana che cercava una terza via possibile. Naturalmente ricordo e purtroppo non ho potuto dimenticare anche le calunnie, tutte le amarezze, tutti gli accanimenti quelli giudiziari soprattutto, che si sono risolti definitivamente soltanto dieci giorni fa. Non so quanti di voi lo sanno ma soltanto -sembra incredibile- dieci giorni fa si è conclusa la parte civile, dopo quella penale, che riguardava i processi su mio padre.

Io voglio ricordare l’uomo timido, schivo, con una semplicità di cuore quasi contadina in una testa sofisticata, capace di un grande umorismo – insospettabile, mi rendo conto, per chi non lo conoscesse ma credetemi – umorismo e quell’autoironia tipica dell’intelligenza.

Il mio era un padre simpatico, divertente, allegro, con il quale ti poteva capitare di improvvisare dei passi di valzer anche nel corridoio di casa, che rideva sui libri Wodehouse, che si commuoveva davanti ad alcuni film a cui piacevano le comiche di Stanlio e Olio, e che poi si prendeva pena per il mio guardaroba decisamente troppo maschile e mi disse “sai esistevano anche i vestiti e le gonne prima dei pantaloni, per tutti… volevo solo che tu lo sapessi”. Ma sempre sorridendo.

Mio padre mi insegnato il rispetto e l’educazione, e mi ha insegnato che la signorilità non dipende dai soldi. Non mi ha mai insegnato a sgomitare ma a cercare di meritare, a cercare di farsi apprezzare, e sempre comunque ad impegnarsi ed ad essere autonoma nelle scelte.

Io ricordo mio padre impegnato a fare il nonno, cosa che gli piaceva tantissimo e lo ha fatto per anni. Ricordo mio padre con mio figlio piccolo sulle ginocchia parlare fitto fitto e dire “stiamo parlando dei massimi sistemi”. Io penso che fosse vero, che gli parlasse dei massimi sistemi come aveva sempre fatto anche con me, prendendomi molto sul serio.

Negli ultimi anni aveva lasciato la politica attiva, sempre lucidissimo ha continuato a leggere fino all’ultimo giorno, ad analizzare, a ritagliare articoli dai giornali utili per il suo archivio; alla fierezza nella vita è subentrata la dignità nella malattia.

La camere ardente di questi giorni è stata allestita – lo voglio dire – in quella che prima di ogni altra scelta è stata la sede del Movimento Sociale Italiano. Voglio anche dirvi quale è stata l’ultima volta che avevo salito quelle scale, dopo un comitato centrale che aveva sfiduciato mio padre, insieme a una persona che è qui, io e lui una domenica mattina andammo in quella stanza a prendere i suoi effetti personali per risparmiargli l’umiliazione di farlo da sé.

Io ho riportato mio padre insieme a voi nella casa missina in quella stanza che lo ha visto Segretario del partito al culmine del suo impegno politico ufficiale. Sono stati tre giorni di afflusso continuo, commosso, poteva anche non essere così invece e stato così, e sfilavano davanti ai suoi occhi chiusi mondi, galassie, generazioni diverse e con loro rivedevo le fantasie di gesta epiche, sogni di militanti e quell’insieme raccontava: chi siamo, chi siamo stati, quello che altri sono stati prima di noi, quello che siamo stati capaci di diventare uscendo dai margini della politica, ma anche quello che abbiamo perso per la strada. Io ho visto la trama spezzata di una Comunità che resta in cammino e che merita qualcosa.

Mio padre esce di scena in un momento opaco della politica e di questo paese. Oggi potrebbe scrivere quello che scrisse un tempo. Vi voglio leggere qualche passaggio, perché rileggerlo ieri mi ha fatto capire quanto potesse essere lungimirante.

“La crisi appare come riflesso, la conseguenza, di una situazione generalizzata di degrado di scollamento e tutto quello che accade occupa le cronache, straripandone con flutti sconvolgenti, è soltanto l’effetto di un “male” più profondo che ha ormai pervaso la comunità nazionale. Scardinare, è stato facile, eppure sconsacrare, dissacrare e mettere in crisi. Per il semplicissimo motivo che non c’era quasi più niente di solido né di sacro. Il re, era nudo da gran tempo. Ma le febbri alte che non sfociano, alla fine, in ordinamenti nuovi alla lunga stancano, sfibrano, disgustano. Ci si può aggirare tra le macerie per ricostruire; oppure, per bivaccarci a mo’ di tribù chiassosa, incapace, impotente. Da certe tensioni prolungate o si esce in avanti, e possibilmente verso l’alto, oppure si tende a ricadere indietro. E alla fine molte bandiere si stanno stingendo si stanno abbassando in questo periodo; molto miti stanno andando in frantumi. E’ il momento delle nostre bandiere. E’ il momento – per andare oltre – dei nostri miti.”

Era un articolo del 1979 n.1 anno I di Linea, ma potrebbe anche averlo scritto anche l’altro ieri prima di morire.

Tre giorni fa mio padre ha smesso di volare alto di insegnarmi ogni giorno qualcosa ma io sono sicura che adesso ha recuperato il passo veloce che aveva nella vita, ma che aveva perso negli ultimi tempi; io sono convinta che con quel passo veloce, quello con cui voi lo avete visto camminare, e con quell’aria fiera, la stessa che avete visto sempre in ogni circostanza nella sua vita, io sono convinta che sta camminando lungo l’argento del fiume che sereno e sicuro va, ed è l’alba.