A Roma, Via Lepanto e dintorni dove ogni giorno “muore” la richiesta di giustizia

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[La data originale di pubblicazione del presente articolo è precedente a quella attuale – © Centro Studi Pino Rauti – Tutti i diritti riservati]

Chiunque si trovi a transitare a Roma, la mattina e fin verso il primo pomeriggio, in un’area vasta che va da Piazza Mazzini a via Cola di Rienzo e sin verso Piazza Cavour e dintorni, non può non notare che ci sono migliaia di persone in frenetico movimento e che altrettanto avviene per migliaia di automobili.
E’ la zona giudiziaria, rispondono a chi chiedesse notizie; la zona dei Tribunali, delle Procure civili e penali, della Cassazione, eccetera.
E’ una zona – assai vasta – nella quale “esplode” ogni giorno e si tocca con mano e si vede a occhio nudo, lo stato miserrimo in cui si trascina la nostra Giustizia; e non quella astratta, da G. maiuscola, appunto; ma la giustizia con le sue concrete strutture operative, al lavoro nel quotidiano.
Chi entrasse poi nei vari “palazzi” di questa Giustizia, resta allibito e sgomento di fronte alle condizioni concrete di vita e di lavoro: dappertutto, nei corridoi lunghi chilometri e chilometri, armadi con le ante spalancate e fascicoli stracolmi che giacciono dappertutto; anche sotto, anche sopra gli armadi. E “utenti” e avvocati e praticanti e gli stessi giudici, sepolti da carte su tavolini sgangherati che interrogano, stendono verbali e, qualche volta, emettono sentenze. Per lo più, si tratta di rinvii; a sette – otto mesi in media ma spesso ad un anno e due. Superate le urgenze di certe procedure, si entra, come suol dirsi, nel merito; e allora imperversano, imperano i tempi lunghi.
All’Italia e agli italiani deve essere successo qualcosa di assai importante, direi proprio in termini di mutazione genetica: siamo diventati un popolo di “litigiosi” e nessuno sembra di poter andare d’accordo con gli altri; anzi, tutti contro tutti, in un turbinio di carte bollate, di ricorsi e contro ricorsi di chilometrica lunghezza.
Certo, è un fatto che ci sono più avvocati a Roma che in tutta la Francia e Inghilterra messe assieme.
Trenta – quarant’anni fa erano un migliaio: adesso, sono 17 mila. E calcolando che molti hanno un praticante o due, siamo nell’ordine delle 100 mila persone più o meno che hanno come punto di riferimento operativo la zona e gli uffici di cui dicevamo all’inizio e soprattutto Via Lepanto e dintorni.
Ci ha scritto sopra di recente, una pagina intera su “Repubblica”, una esperta del settore, Elena Stancanelli; ma non c’è quotidiano che si stampi a Roma – dal “Messaggero” al “Tempo” a “Libero” che non abbiano dedicato inchieste di fuoco a questa situazione, che è senza dubbio la più grave di tutta Italia perché in quegli “uffici” si riversa la richiesta di giustizia diretta di almeno 5-6 milioni di persone, da Roma tutta e dal Lazio intero. Cassazione a parte, che riguarda tutta Italia.
E’ tutto un mondo, quello di via Lepanto e dintorni; tutto un mondo umano e “sociale” nel senso più ampio del concetto della espressione. Ma guai a cascarci dentro!
“Fare la fila per cinque ore, (dentro una stanza angusta, annusando l’odore di catrame e benzina che si sprigiona dal giubbotto davanti al tuo, ascoltando le lamentele sugli asili nido o i commenti sul derby è compito invece delle segretarie. E’ diverso da indossare una maschera di pelle nera con una chiusura lampo all’altezza della bocca e lasciarsi lascivamente frustare. E’ diverso, anche se l’inutilità e il senso di vuoto sottesi alle due pratiche si somigliano. Ma è diverso soprattutto perché nel caso delle segretarie l’ umiliazione non è riscattata da alcuna soddisfazione. In fondo, c’è solo un’ altra donna, altrettanto stremata, che allunga la mano dal suo box di plastica e prende in consegna, o consegna, un atto giudiziario che finirà nella buca delle lettere di qualche altro infelice…”
Poi, nel cortile, c’è la “zona notifiche” dove <<regna l’inverosimile>>, scrive la Stancanelli e dove gira la voce che perfino una troupe di Striscia la notizia si sia arresa. Perché, giunta lì per un’inchiesta su questo stato di degrado, è stata respinta “dal muro di gomma dell’invulnerabile irrazionalità”.
“C’è solo un uomo che ha trovato il bandolo della matassa, e lo tiene in mano sorridendo, da circa quindici anni. Dice di chiamarsi Jimmy, ma non è vero. E’ arabo, si direbbe nordafricano. Ha un borsa piena di libri sapienziali ed è a lui che si rivolgono tutti quanti per avere informazioni. E’ esperto di bolli e di codici postali, di postille illeggibili su leggi appena emanate, di orari e nuovissime norme. Registra come un sismografo le oscillazioni delle varie file e sceglie sempre la migliore. Prende il numero e poi esce. Aspetta il suo turno, fuma, non si arrabbia. E’ il suo lavoro. “Per pochi euro prende in consegna una rogna e te la ridà risolta, parecchie ore più tardi. Si definisce collaboratore amministrativo e sembra che per questo paghi anche le tasse…”.

Pino Rauti

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