Sale: parte da Napoli "una fiera mondiale"


[La data originale di pubblicazione del presente articolo è precedente a quella attuale – © Centro Studi Pino Rauti – Tutti i diritti riservati]

Che cosa hanno in comune Salisburgo e la via Salaria? La parola salario e l’espressione «cum grano salis»?
Un ingrediente che ha 14 mila usi conosciuti, ma nelle ricette compare indicato dalla sigla q.b. (quanto basta) o dall’indicazione «un pizzico». E, granello dopo granello, è diventato una cattedrale. Anzi una carovana, che parte da Napoli (appuntamento dal 3 al 6 maggio, alla Fiera d’Oltremare) per raggiungere San Francisco, New York, Sydney, Londra, Barcellona Francoforte.
«SaltExpo», un’idea di Fabio Fassone, quarantenne musicista-cuoco, fondatore di «Adhoc Culture», è la prima fiera- evento dedicata al sale (300 espositori di tutto il mondo, colonna sonora di Rino Gaetano), ma attenzione, non al banale cloruro di sodio sparso sulle strade gelate, o infilato nella lavastoviglie.

SaltExpo
E’ dedicata a quello che rende speciale un piatto (come il sale nero dell’isola di Molokai), diventa un elisir di lunga vita, occupa a tempo pieno gli esperti del Salt Institute, mobilita antropologi e ambientalisti, barman, poeti e touroperator. Si può attraversare il mondo per scoprire i Salares boliviani delle Ande e l’Hotel Playa Blanca, costruito con mattoni e arredato con mobili di sale. Per lasciarsi guidare nell’invisibile, salata, Detroit sotterranea, 50 miglia di strade nell’ex miniera dimenticata. O immaginare la vita a Taghaza, città del Sahara occidentale scavata nel sale. C’è chi allinea, come la collezionista di sabbia di Italo Calvino, barattoli trasparenti con un grigio e umido sale del delta del Po, un rosso, argilloso Alaea delle Hawai, un fleur de sal della Camargue o i rari «soffi» delle saline Ettore e Infersa di Trapani. Chi si specializza nel sale affumicato (mai provato il Salish del Pacifico?) con le spezie: vaniglia di Tahiti, noce moscata di Grenada, zenzero giamaicano. Chi sconsiglia, per i sali più preziosi, l’uso di cucina: è il caso dell’himalayano Halite, suggerito come antistress e antirughe per il poker di minerali che contiene (calcio, potassio, ferro e magnesio). C’è chi prepara una guida alle saline (il Touring), ambienti straordinari e giustmente protetti, chi una copertina (il Gambero Rosso), chi un nuovo elenco di cocktail salati (il barman dell’hotel Hyatt di Milano). Chi sta per scompigliare, seguendo l’esempio di Ferran Adrià, la carta dei sapori. E chi quella delle fragranze. Lorenzo Villoresi, principe dei profumieri, dice che oggi «c’è richiesta di note marine, legate agli odori delle alghe, a tutto ciò che il sale trattiene». Ormai, con macchine analoghe a quelle di Csi, oltre alla scena del crimine, è possibile ricostruire il profumo di un luogo, dalla foresta pluviale alla spiaggia. Non solo per gli scontatissimi sali da bagno, ma per la casa, o per piscine che sanno troppo di cloro.

Il business
A Napoli ci sarà tutto questo, più il Palcoscenico salato dello chef Carmelo Chiaramonte con l’esibizione dei cuochi come prestigiatori, e dopo i saltylabs e i saltystage, arriverà l’immancabile saltyhour per la gioia del saltypeople. Dietro il business, ovvio, c’è un po’ di magia e un po’ di snobismo. Forse non è indispensabile raccogliere il sale giapponese nelle notti di luna piena. Ma sarà necessario conoscere la differenza tra un salgemma e un sale marino, tra un fleur de sal (il più «forte» come gusto si raccoglie in Madagascar) e le decorative scaglie colorate, hawaiane, australiane, pakistane, da portare a tavola per la gioia degli occhi e del palato, per quel croccante retrogusto che allunga la lista dei piccoli piaceri.

Forse per snobismo, lo stellatissimo Heston Blumenthal suggerisce di aggiungere il famoso «pizzico di sale» all’acqua tonica, troppo amara, e Jean-François Piège, ex braccio destro di Alain Ducasse raccomanda un portoghese ricco di minerali, «puro, bianco, intenso», mentre rivela di essere molto intrigato dalla possibilità di riciclo del sale usato per la conservazione dei prodotti. Come quello del baccalà, che gli ha permesso di concepire un «branzino alla tapioca di ostriche». Ma il copyright più invidiato spetta, almeno per il momento, a Davide Scabin (il suo ristorante, Combal.zero, è il tempio del food design), autore di un sale liquido da spruzzare direttamente sul piatto. Altro che cloruro di sodio. Questo è un salt(o) di qualità. Roselina Salemi (“La Stampa”)