Si può parlare di “nuova schiavitù”?

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[La data originale di pubblicazione del presente articolo è precedente a quella attuale – © Centro Studi Pino Rauti – Tutti i diritti riservati]

Si; pensiamo proprio che se ne possa parlare; che, anzi, se ne debba parlare, se non si vogliono chiudere gli ochhi su tante “cronache” DEI NOSTRI GIORNI. Su quella delle badanti che vengono dalla Moldavia, per esempio; e sulle quali, tempo fa, Mario Sorbi scriveva su “Il Giornale”:

“Partono di notte, con quattro stracci addosso e la fotografia dei loro bambini vicina al cuore. Per raggiungere l’Italia, attraversano veri gironi infernali, ma non mollano, nemmeno quando la pelle si spacca per il freddo e la febbre brucia insopportabile. Le badanti moldave arrivano ad accudire i nostri anziani dopo un percorso a ostacoli che, spesso, dura settimane intere. Rischiano la vita e si indebitano per «prenotare» il viaggio clandestino: quattromila euro che arrivano da una vita di sacrifici e che finiscono dritti nelle tasche delle organizzazioni illegali. Solitamente gli strozzini contattano le clienti con annunci sui giornali in cui, tra le righe, promettono «visti facili» per oltrepassare il confine.

Il racket dei viaggi delle badanti ha la regia di una squadra di delinquenti che si snoda tra Moldavia, Romania, Ucraina e Italia. «La chiamano la banda degli incappucciati – racconta Gretha, badante a Ferrara da un paio di anni – perché non si fanno mai vedere in faccia, da nessuno». … Si parte in macchina da Chisinau, capitale della Moldavia, e si attraversa tutta la Romania… Per riuscire a entrare in Ungheria le moldave pagano il permesso momentaneo degli acquisti e arrivano a Budapest. Qui sono ammassate per giorni interi in stanzette soffocanti con un bagno solo. E per il soggiorno pagano pure circa dieci euro al giorno. Contando che in Moldavia uno stipendio medio si aggira sui 120 euro al mese, la cifra non è di poco conto.

Poi arriva il tratto più duro: quello dalla Croazia al confine italiano. Si attraversano i boschi a piedi, in piena notte. «C’è sempre qualcuno che vuole tornare indietro – ricorda Gretha – ma ci si incoraggia a vicenda per resistere al freddo e alla paura». Al confine con l’Ungheria c’è un fiume da attraversare, una delle prove più atroci. Senza scarpe, con l’acqua gelida, le donne, esauste, resistono alla corrente e cercano di fare in fretta per arrivare dall’altro lato senza essere viste dai militari alla frontiera.

Poi ancora montagne e ghiaccio. Qualche «traghettatore» sceglie di ultimare i trasferimenti in treno, nascondendo le donne nelle contro pareti dei vagoni. Si resiste, rigettando in gola le lacrime. «Ho fatto tre giorni a camminare senza buttar giù nemmeno un pezzo di pane – continua la donna moldava… Infine, dopo tre settimane di inferno, ecco l’Italia. Gli interrogatori della polizia sembrano una tappa obbligata. «Dopo mille domande, i poliziotti ci hanno dato il foglio di via per lasciare il Paese entro quindici giorni. Ma non potevo tornare indietro, avevo bisogno di lavorare a tutti i costi».

Le badanti che arrivano clandestinamente qui non vedono crescere i propri bambini, non tornano in Moldavia per anni interi. Almeno fino a quando non racimolano abbastanza soldi per pagare il debito con gli usurai. Nel tempo libero, sedute sul letto delle piccole stanze di servizio nelle case italiane, sognano un contratto in regola…”.

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