USA: impero della paura


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Esce in questi giorni “L’impero della paura” (Edizioni Einaudi – pgg.209- euro 14) di Beniamin R. Barber. E raramente un libro ci è apparso così attuale; e non solo: così incisivo e lucido.

Il famoso politologo di New York parte dalla tesi – anzi, dalla premessa – che l’imperativo caratterizzante di questo nostro tempo sia quello della interdipendenza.

Perché questa terra abitata da 6 miliardi e più di persone – e cresce aggiungiamo noi, al ritmo di 80 milioni di persone ogni anno! – è già troppo complessa perché vi si aggiungano interventi di un solo soggetto e specie se il soggetto che si muove è la più grande potenza del mondo. Non siamo al “classico” elefante che irrompe nella cristalleria, ma poco ci manca.

Ed è proprio questo che sta avvenendo, scrive e documenta Beniamin Barber, i cui capi “perseguono una bellicosità sconsiderata”, anche in termini di gestione della propria sicurezza interna. Appunto perché non siamo più in un’epoca – come quella del Machiavelli – nella quale al Principe andava insegnato “che era molto più sicuro essere temuto che amato”. Siamo nel tempo dell’interdipendenza; quando perseguire la strategia del Machiavelli “è un’impresa votata al fallimento”. Quando proprio il terrorismo che si intende combattere ha rivelato la fragilità delle sovranità nazionali e l’obsolescenza delle orgogliose dichiarazioni dell’indipendenza del passato. Se l’11 settembre ha indubbiamente mostrato l’efficacia del terrore, ha rivelato anche le insufficienze del potere militare. Se la guerra lampo tecnologica in Iraq ha mostrato la durevole efficacia del potere militare, ne ha però anche rivelato i limiti come strumento di democratizzazione. Eppure, nel reagire al disprezzo mostrato dal terrorismo per i confini nazionali, gli Stati Uniti sono ricorsi a strategie militari sempre più obsolete, associate a una sovranità tradizionale che essi in realtà non possiedono più appieno…”.