Una volta – diciamo, nel tempo fra le due Guerre Mondiali – tra le tante "divisioni" che esistevano sulla Terra, una ce n’era, sulla quale tutti erano d’accordo: che nel mondo occidentale e in particolare in quello europeo la corruzione era ridotta al minimo ed era comunque marginale rispetto al normale funzionamento degli Stati


[La data originale di pubblicazione del presente articolo è precedente a quella attuale – © Centro Studi Pino Rauti – Tutti i diritti riservati]

Una volta – diciamo, nel tempo fra le due Guerre Mondiali – tra le tante “divisioni” che esistevano sulla Terra, una ce n’era, sulla quale tutti erano d’accordo: che nel mondo occidentale e in particolare in quello europeo la corruzione era ridotta al minimo ed era comunque marginale rispetto al normale funzionamento degli Stati.

Non è che mancassero gli scandali, sia chiaro. Ogni tanto ne scoppiava qualcuno, anche di enorme dimensioni; ma era, diciamo, l’eccezione rispetto alla norma; e la norma era rappresentata da una generalizzata corretta amministrazione, specie a livello di “casa pubblica”. In breve, e come esempio: era impensabile che un funzionario austroungarico (o prussiano o anche inglese o italiano) fosse corrotto.

Si era invece tutti d’accordo nel ritenere che la corruzione, anche quella corrente e “spicciola”, intrecciata persino nelle minime evenienze del vivere quotidiano e del tessuto sociale, fosse enormemente più diffusa in tutto il resto del mondo; nei Paesi “coloniali” (e lì c’era spesso la complicità dei bianchi) o ancor più in quelli indipendenti, dall’Etiopia a tutto il Sud America.

E adesso?

E’ il caso di dire: come sono cambiate – anche su questo versante – le cose!

Adesso la corruzione è generalizzata, dovunque e ad ogni livello.

Anzi, è proprio nei Paesi dove c’è più “finanza” che non solo scoppiano con frequenza scandali coloniali con il coinvolgimento di centinaia di affaristi ma si assiste ad una corruzione “corrente”, quotidiana e spicciola. Proprio quella che, una volta, invece, non c’era.

La prova?

Ogni anno – e sempre di più se ne parla e se ne scrive – viene celebrata a cura delle Nazioni Unite “la giornata mondiale contro la corruzione”; che evidentemente non ci sarebbe, se le cose non stessero, non andassero, come dicevamo sopra.

Non solo. C’è un’ apposito Ente che fornisce, in merito, cifre e statistiche. E redige addirittura una “graduatoria” mondiale in merito; si chiama “Trasparency International” ed opera da dieci anni.

Attualmente, sta facendo circolare, anche sulle TV nostrane, uno spot-slogan che dice: “La corruzione ci toglie sempre qualcosa. A volte anche la vita”; che ci sembra proprio che non manchi di una triste attualità.

Una cifra, adesso: qualcosa come 400 miliardi di dollari sono la cifra alla quale ammontano “le tangenti pagate ogni anno nel mondo” (ovviamente, quelle di cui si è venuti più o meno a conoscenza; perché poi, lì più altrove, ci dev’essere un ancor più consistente “sommerso”).

Ora, secondo il più recente Rapporto di “Trasparency” (ce ne informa il “Corriere della Sera” in una nota siglata L. Sal.) l’Italia si trova al 42esimo posto per indice di corruzione percepita.

“La classifica è stata costruita non sulla base di dati giudiziari ma intervistando esperti del mondo degli affari e delle istituzioni. Tra i 146 Paesi presi in considerazione, il più virtuoso è la Finlandia (voto 9,7 su 10), seguita dalla Nuova Zelanda. All’ultimo posto Haiti e Bangladesh con 1,5. Davanti all’Italia (un punteggio di 4,8; 18esimo posto nell’Unione europea) ci sono tra gli altri Cile, Barbados, Estonia, Giordania, Tunisia e Costa Rica”.