Ed ecco come “non” si vive a Milano

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[La data originale di pubblicazione del presente articolo è precedente a quella attuale – © Centro Studi Pino Rauti – Tutti i diritti riservati]

Sono, ormai da anni un lettore accanito delle “cronache” locali; di quei particolarissimi servizi giornalistici, dove si accumulano, oltre alle note di cronaca, anche cifre del massimo interesse. Solo dopo aver letto un “servizio” del genere, si può dire di conoscere al meglio la vera «condizione esistenziale» di una città  e dei suoi abitanti.

Vediamo di farlo, stavolta, con Milano; sulla scorta di quanto è stato possibile leggere sul “Corriere” in un ottimo, davvero ottimo, articolo di Gianni Cantucci.

Prima, però, qualche cifra: a Milano ci sono 750 telecamere del Comune per la Sicurezza. Ogni mese, Palazzo Marino, riceve in media 600 esposti. Sommati a quelli della P.S. e dei Carabinieri, si sale a circa 1500. I reati: nel primo semestre del 2009, ci sono stati 928 lesioni dolose; 147 violenze sessuali; 42976 furti; 1211 rapine e 70 estorsioni; 31 tentanti omicidi.

Ed ecco le parti salienti dell’articolo: Hanno montato inferriate alle finestre, sbarre alle porte, cellule laser per gli allarmi nei cortili. Dici via Idro e ogni milanese pensa al «campo degli zingari». Tra le baracche, il Naviglio e la tangenziale. Là dietro però ci sono anche sette case. «Trasformate in carceri», dicono gli abitanti. Nella Milano della periferia estrema, la sicurezza, prima che partecipata, è autogestita. Come in via Triboniano, altra enclave di rassegnazione all’ autodifesa dietro un campo nomadi: filo spinato intorno ai giardini e cittadini-sentinelle nelle notti d’ estate. I teorici inglesi dicono neighborhood watch. Controllo di vicinato. Abitanti sentinelle. A Milano, qualcuno sorride: «Lo facciamo da vent’ anni». E assicura: «In modo molto più approfondito». È una donna tenace, Emilia Dragonetti, ed è vice presidente di un coordinamento di 50 comitati di zona (i gruppi di cittadini organizzati sono molti di più, oltre 90). Spiega: «Ogni volta che cambia il questore, andiamo a incontrarlo. Abbiamo un collegamento aperto e diretto con i dirigenti dei commissariati». Intorno alla stazione Centrale è la stessa cosa: un filo diretto tra cittadini e commissariato porta, un mese dopo l’ altro, al sequestro di appartamenti in cui lavorano prostitute clandestine. Caso ancora più emblematico: via Spezia, periferia Sud, il 19 marzo scorso un cittadino gira al Comune un’ indagine artigianale su un giro di prostitute. Parte l’ inchiesta. A metà ottobre i vigili arrestano due italiani e 4 romeni che sfruttavano dieci ragazze in undici appartamenti della zona. L’ amministrazione milanese di centrodestra ha scelto la sicurezza come colonna della propria politica. La sicurezza percepita, qui, ha la stessa dignità di quella reale. Le forze messe in campo: 750 telecamere nei quartieri a rischio; un nucleo dei vigili specializzato in «problemi del territorio» (con oltre 160 sgomberi di campi rom in due anni); 31 pattuglie miste tra polizia, carabinieri, militari; City Angels e poliziotti in pensione in undici quartieri difficili o fermate periferiche del metrò, più le «ronde» sui treni sotterranei dopo le 22.30 (in tutto, da giugno 2008 a oggi, il bilancio parla di oltre 2.200 segnalazioni alle forze dell’ ordine). I reati sono in calo: nel primo semestre 2009, meno 12 per cento di furti, meno 37 per cento di rapine, meno 25 di delitti legati alla droga, meno 23 di lesioni. E allora la vera domanda è: perché se calano i reati resta alta la paura? E le iniziative di sicurezza partecipata sono solo marketing politico, visto che dall’ altra parte crollano le risorse destinate alle forze dell’ ordine? «La paura del crimine è una componente altrettanto importante», risponde Clara Cardia, responsabile del laboratorio «Qualità urbana e sicurezza» del Politecnico di Milano. Urbanista, ha studiato per anni a New York, e spiega un concetto chiave: «Se le persone sono spaventate, frequentano meno gli spazi pubblici, riducendo la “sorveglianza naturale” in strade, piazze, metropolitane. Le conseguenze di una percezione, come la paura, sono quindi reali: negli spazi deserti delle metropoli aumenta il rischio criminalità». È quello che sta succedendo a Milano, come nelle altre città occidentali. La situazione è comune: meno reati, ma più paura. Le spiegazioni sono diverse. Una è storica: «Fino a qualche decennio fa – spiega la docente del Politecnico – la delinquenza era concentrata in alcune zone della città, molto ben definite nell’ immaginario delle popolazione. I cittadini sapevano quali erano i quartieri a rischio, ne conoscevano i confini. Da quando la criminalità è diventata più omogenea sul territorio, la paura inconscia è aumentata». Facendo un giro nelle periferie milanesi, si scopre quanto sia importante anche un ultimo elemento. L’ architetto-urbanista Cardia parla di «architettura ansiogena». Il laboratorio del Politecnico ha riassunto le ricerche su questo tema in un manuale curato per l’ Unione europea (Pianificazione, disegno urbano e gestione degli spazi per la sicurezza). In breve: casermoni bui di periferia, senza negozi su strada, poco illuminati, con le portinerie nascoste, indurrebbero ansia negli abitanti anche se non ci fosse neppure uno scippo. Per chi vive a Milano, queste ricerche hanno un’ incarnazione immediata: Ponte Lambro, Lorenteggio, Calvairate, San Siro, Quarto Oggiaro. Non è un caso se da lì arriva la maggior parte delle richieste di sicurezza.”

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