Ricerca: fanale di coda indietro di oltre 50 anni

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[La data originale di pubblicazione del presente articolo è precedente a quella attuale – © Centro Studi Pino Rauti – Tutti i diritti riservati]

In una recente “giornata” che la Confindustria ha dedicato allo stato della ricerca in Italia, sono emerse cifre impressionanti. Ma poi, anche a livello di intervento governativo, nessuno ha detto più niente. Neanche a Sinistra se ne parla. Come se la politica potesse in girotondi e in interventi radio-TV sul sesso orale!

Eppure nel convegno – e qui seguiamo quanto pubblicò, con ottima documentazione di supporto, Luciano Costantini sul “Messaggero”- erano emersi “numeri da terzo mondo, anzi peggio, elencati in presa diretta”.

Ecco quale è la situazione:su 30 Paesi Ocse siamo ventitre-esimi per spesa in ricerca sul Pil; Francia e Germania spendono per lo sviluppo rispettivamente il 2,6% e il 2,3% del Pil contro l’1,1% dell’Italia; abbiamo appena 2,8 ricercatori per mille abitanti, contro i 3,3 della Germania e della Francia. «Il ritardo che abbiamo accumulato – sottolinea con amarezza Pistorio – prima ha portato al rallentamento della produttività, poi alla stagnazione e, negli ultimi sette anni, ad una decrescita dell’1,4% contro la crescita del 7% in Francia e Germania e del 13% nel Regno Unito». Prospettive assai fosche, sintetizzate, da un altro numero: serviranno 53 anni, cioè più di mezzo secolo, per raggiungere la performance della media europea, se manterremo invariato l’attuale impegno. E il risultato non è per nulla garantito. Previsione amara, mentre – puntualizza il vice di Confindustria – i ricercatori «costituiscono il vero e unico motore per il futuro». E di rifare il motore c’è bisogno. Lo dice in sala uno che di motori se ne intende, Luca Cordero di Montezemolo. Il leader degli industriali ringrazia Pistorio «per l’aria fresca che ha portato a viale dell’Astronomia», poi insiste su un concetto noto: la bassa crescita del nostro Paese: «Cambiano i governi, ma il problema resta: nel 2004 non crescevamo, nel 2008 neppure, dal 2000 la stagnazione è il comune denominatore dell’economia italiana. Gli altri Paesi hanno il raffreddore, noi la polmonite. Il fatto è che i nodi stanno venendo al pettine, le non scelte di tanti anni le stiamo pagando oggi. Chi non investe sulla ricerca, non investe sul proprio futuro. E comunque non si può accettare che un ricercatore guadagni quanto una colf».

Nell’occasione si è anche appreso che l’Italia “investe” nei giovani ricercatori e nella ricerca, l’1,’ del Pil, e cioè molto meno di Francia e Germania, di India e Cina. Precisa ancora Luciano Maiani, presidente designato del CNR:”«Dopo Lisbona, gli altri paesi si sono incamminati nella giusta direzione: maggiori investimenti in innovazione e ricerca. Noi siamo fermi da decenni. Nei primi anni 90, quando presiedevo l’Istituto nazionale fisica nucleare, in Italia la spesa per la ricerca èra dell’ 1,4% del Pil».
Questo è dovuta anche all’atteggiamento della politica nei confronti della scienza?

«La natura bipartisan della scienza deve essere garantita, come hanno chiesto proprio gli scienziati, a partire dal Nobel Levi Montalcini. E poi si è contratta la spesa dell’industria per la ricerca, oggi ferma allo 0,2 del Pil. Dati che non trovano riscontro nei Paesi industrializzati. Ciò significa che i giovani, dopo gli studi, non trovano lavoro nelle imprese. E sarà difficile cambiare le cose anche nel mondo accademico se l’industria non compra la ricerca italiana».

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