Disastro iracheno

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[La data originale di pubblicazione del presente articolo è precedente a quella attuale – © Centro Studi Pino Rauti – Tutti i diritti riservati]

Più tempo passa – e ogni giorno che passa porta un nuovo fardello di morti e distruzioni e meno si vede via di uscita, al caos creato, dalla guerra americana. In termini politici, ad uno stato laico sociale osteggiante, che era quello di Saddam, è stato sostituito uno stato (?) con governo islamico sciita; qualcosa, che fa descrive l’Irak di oggi come una provincia dell’Iran.

Su “Le Figaro” abbiamo letto l’altro giorno: “Le autorità legali di Bagdad, banche interamente finanziate e internamente protette dagli Americani, non hanno esitato ad apportare il loro sostegno morale movimento sciita hezbollah, durante la sua guerra, d’estate contro Israele”.

Ma le conseguenze della guerra voluta con tanta testardaggine da Bush vanno ben oltre; perchè non è solo lo stato che è stato distrutto, ma è la società irachena nel suo complesso, per come funzionava dal tempo della creazione dell’Irak da parte degli inglesi dopo la guerra mondiale; perchè adesso c’è un “muro di odio” fra le due principali comunità arabe del paese, gli sciiti che sono il 55% della popolazione e i sunniti, con il loro 25%. Sorvolata ininterrottamente dagli americani, Bagdad è una città dove l’epurazione etnica è diventata pratica giornaliera. Si contano 140.000 profughi affluiti nella capitale e attualmente “più di 9.000 iracheni sono scacciati ogni settimana dalle loro terre” dalla spirale della “vendetta interetnica”; mentre prima della guerra di Bush tutte le città, irachene, grandi e piccole, contavono innumerevoli quartieri “misti”, nei quali non esisteva la minima ostilità interconfessionale.

Scrive ancora, Renaud Girand uno dei principali “analisti” di politica estera de “Le Figaro” che a Bagdad “che era di gran lunga la città più mista, gli abitanti”, fossero sciiti sunniti, curdi o cristiano-caldei, si sentivano e si dicevano tutti iracheni prima di ogni altra cosa “ed erano fieri” della loro nazionalità comune… Il Partito Baas, l’esercito, l’università, la diplomazia, contavano numerosi sciiti che vi avevano fatto carriera e solo i più alti impieghi governativi erano loro bloccati perchè riservati e di una “cerchia” molto particolare di sunniti vicina Saddam Hussein, i “Trikitis”.

Oggi, questi sentimenti di unità nazionale e di destino comune,sono scomparsi; La sola parte del paese che serba cova, è il Kurdistan, regione settentrionale monoetnica che si ammministrava da sola dopo il 1991.

Per questo dicono che Condoleeza Rice sia tornata da Bagdad “molto depressa” Le hanno fatto indossare un giubbotto blindato e poi caricata su un elicottero verso la “Green Zone”, la zona verde, dove Americani e Iracheni del regime vivono come a Dien Bien Phu, una “fortezza” che non cade, data la schiacciante superiorità di materiale bellico degli americani, ma dalla quale si governa poco e male.

Giraud Conclude: “Il disastro Iracheno avrà comunque avuto almeno un merito; mostrare a Washinngton che, in politica estera l’unilateralismo non paga”. E dimostra quanto fosse vera la nostra tesi, secondo la quale Saddam era il male minore, con il quale conveniva convivere, ed evitare il peggio che sta accadendo e il disastro sanguinoso che si profila.

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