I vinti: rischiano di perdere tutto d’un colpo

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Arriva dagli USA un libro sulla globalizzazione; ed è, diciamolo subito un libro “preoccupato” e che dovrebbe preoccupare. Perché gli effetti di quello che noi chiamiamo anche mondialismo economico sono ormai al centro di un dibattito interessante; che ha di mira soprattutto le conseguenze sulla economia.

E traggo dalla recensione al libro di Thomas Friedmann scritta da Maurizio Ferrera sull’inserto economico del Corriere della Sera, che “il ritmo e l’intensità della nuova rivoluzione tecnologica tolgono il respiro: gli sconfitti rischiano di perdere tutto all’improvviso”.

Il libro di Friedmann (The world is plat. A Brief History of the Globalized World in the 21 st Centhury” New York. Farrar – Strauss and Giroux – 2005 – pag. 496 – 27,50 $ ) definisce “piatto” il nostro pianeta; reso tale dal fenomeno sempre più incisivo della globalizzazione, che ignora ogni barriera geografica.

In dieci anni “centinaia di migliaia di lavoratori indiani si sono integrati nell’economia globale grazie all’outsourcing (si prenota il volo interno agli Stati Uniti passando per un call center di Bangalore). Dopo l’ingresso della Cina nel WTO, le operazioni di offshoring (trasferimento di produzioni) da parte delle imprese occidentali sono letetralmente esplose. Un bene per i lavoratori indiani e cinesi, senza dubbio. Ma con quali conseguenze per i lavoratori e per i modelli di vita dei paesi sviluppati?”. Ecco la domanda centrale del volume?

Friedmann è un liberista – anche questo va tenuto presente – e “guarda con favore” i processi di globalizzazione; ma siamo certi che il suo libro ha ottenuto il Premio Pulitzer non per “liberismo” ma per l’analisi documantatissima che fa delle “ricadute” negative della globalizzazione.

Perché se è vero che “tutte le grandi trasformazioni del modo di produrre, generano vincitori e vinti. Nelelfasi storiche precedenti, il mutamento è avvenuto più lentamente. Il ritmo e l’intensità della nuova rivoluzione tecnologica tolgono invece il respiro: gli sconfitti rischiano di perdere tutto all’improvviso”.

Ecco la novità assoluta: i mutamenti che una volta richiedevano decenni ed impegnavano più generazioni adesso avvengono con rapidità enorme. Non c’è tempo per rispondere con la gradualità che richiedono queste vivende; avviene tutto “in tempo reale” a livello di scelte e decisioni di vertice.

Si può fare qualcosa per “assorbire” meglio questa realtà? Per fronteggiare le conseguenze gravi?

Anche questo si chiede il volume.

E anche su queste domande, si sofferma la bella recensione di Maurizio Ferrera. Che – ne riferiamo in sintesi – sostiene che il libro è in effetti un manifesto di Friedmann per un “compassionate flatijm”, per un “piattismo” che miri a rendere “più efficace il sistema di ammortizzatori sociali americani”.

E viene avanzata, da Friedmann una proposta concreta, che meriterebbe di essere ripresa anche “in prospettiva europea”; in una proposta che in America già circolò negli anni ’80 e che recentemente è stata discussa dalal “US Trade Deficit Commission”: l’introduzione di una “Wage assurance”, una forma di assicurazione sulle retribuzioni. I lavoratori colpiti dai processi di outsourcing od offshoring hanno scarse probabilità di trovare nuovi posti di lavoro a parità di salario. I sussidi di disoccupazione dovrebbero perciò essere integrati da una somma di danaro volta a finanziare l’acquisizione di nuove competenze. Le imprese nei settori più dinamici e aperti dovrebbero dal canto loro promuovere corsi di formazione per i dipendenti più a rischio, volti a sviluppare competenze versatili………

Pino Rauti

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