Si governa “seriamente” in questo tipo di democrazia?

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[La data originale di pubblicazione del presente articolo è precedente a quella attuale – © Centro Studi Pino Rauti – Tutti i diritti riservati]

Leggiamo sempre con interesse quell’ottimo commento ai fatti del giorno che Michele Serra “deposita” ogni giorno su “L’amaca” della Repubblica. Perchè, spesso è occasione, – sia pure in sintesi, per la brevità del testo – di qualche lucida analisi o addirittura di un riferimento a problematiche di fondo anche assai complesse. Ecco, ad esempio, come da un dato di attualità corrente, Serra passa ad un quesito estramemente importante.

Leggiamo insieme

Che Romano Prodi, dopo il caos masochista di ordini e contrordini relativo alla finanziaria 2006, abbia perduto solo pochi punti di gradimento, in fondo è una notizia eccellente per questo governo. Poteva andare molto ma molto peggio. Il vero problema, piuttosto, è che quei quattro punti in meno (ma sarebbe lo stesso se fossero stati in più) sono destinati a influenzare comunque le scelte presenti e future del governo Prodi come di qualunque altro governo. Una delle sciagure congenite delle democrazie moderne è che fare politica è diventato il mestiere di piacere, e di compiacere. Leggi impopolari (anche se necessario) diventano, di fronte ai primi fischi, leggi da occultare o da edulcorare, perché il rischio è quello di non essere più rieletti. Specie in un Paese come il nostro socialmente pigro, profondamente conservatore, le classi dirigenti hanno paura di inimicarsi l’opinione pubblica tanto quanto il vecchio attore di cambiare il repertorio. Viene quasi da dire che la sola riforma istituzionale decisiva sarebbe il mandato unico per qualunque eletto: sindaco o presidente del Consiglio che sia. Sapendo già in partenza che non dovrà ripresentarsi agli elettori, forse riuscirebbe a governare senza l’ossessione dell’applauso, e il terrore dei fischi.

Già, proprio così stanno le cose nell’epoca in cui viviamo e, al posto di Serra, avremmo anche scritto che è davvero sconcertante -e molto, molto pericoloso- che si debba governare in queste condizioni proprio in un epoca storica nella quale il governare deve fronteggiare sfide e problemi addirittura “epocali”.

Ma di “questa” riforma costituzionale di quella che sarebbe la più autentica e comunque piu’ vera e concreta, naturalmente non parla nessuno.

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