Sala gremita, pubblico attento e silenzioso, nel ricordo di Pino Rauti, l’uomo simbolo della destra nazionalpopolare. Nella cornice ottocentesca della sala rossa di Palazzo Ferrajoli, ben tenuta architettura di fine cinquecento, il centro studi Pino Rauti ha chiamato a raccolta vecchie e nuove leve politiche, per manifestare l’impegno della continuità.
Padrone di casa Alessandra e Isabella Rauti, presidente del centro studi, ma con loro esponenti storici dell’area missina che si riconosceva nelle posizioni del padre: Silvano Moffa, Pasquale Viespoli, Giuseppe Parlato, Luciano Schifoni, moderatore Pietro Di Leo de Il Tempo. Alle spalle dei relatori c’erano le foto raccolte grazie anche agli scambi permessi dai social, del percorso politico di Pino Rauti, dai Campi Hobbit ai congressi finali, dalle riunioni del centro studi Ordine Nuovo alle campagne in piazza in difesa di Antonio Di Pietro.
Isabella Rauti rompe gli indugi e con trasporto legge agli astanti alcune significative parti di inedite lettere di Rauti; lettere di un uomo, di un marito, di un padre, di un imputato, di uno studioso, dalle quali emerge fermezza ideale e delicatezza di spirito, risolutezza e passione per la cultura. Isabella invita allo studio di Rauti e annuncia un lavoro che potrà vedere a breve la luce, usufruendo anche degli inediti venuti fuori grazie alla sistemazione dello straordinario archivio. L’autore di una prossima tesi di laurea su Pino Rauti è un giovane laureando Piero Zucchi, che dopo Isabella illustra la sua posizione. Zucchi, laureando in storia, si imbatte in Rauti nel suo percorso di studi e ne viene affascinato, come racconta: “Quando mi sono interessato allo studio della destra dal dopo guerra ad oggi, mi sono imbattuto nella figura di una persona totalmente “anomala” come Pino Rauti. Anomala per il suo spessore culturale, per la sua curiosità intellettuale, per la sua grande apertura e curiosità verso tutti i temi che si presentavano come nuovi nell’ambito della società italiana e mondiale. Visto il grande spessore di Rauti decisi di incentrare su di lui la mia tesi di laurea”. Ed ora è a Zucchi che spetta risistemare da zero l’archivio di Rauti, incarico meritevole affidatogli dalle figlie di Rauti Isabella e Alessandra.
Sul perché la linea rautiana nonostante la sua lungimiranza non sia risultata vincente nel MSI e in Alleanza Nazionale, Zucchi risponde sostenendo la “necessità di Alleanza Nazionale e prima del MSI di occuparsi delle esigenze di governo, che hanno prevalso sulle necessità di cultura smarrendo quel filone colto, identitario, legato alla tradizione ma aperto all’innovazione che è sempre stata la filosofia rautiana”. Aggiunge che la “destra ha imparato a governare, ma ha smesso di studiare. Questo dà conto del buco generazionale a livello dei dirigenti che c’è nella destra”. Una destra smarrita, che non ha ereditato la lungimiranza del pensiero rautiano, ma secondo Zucchi “i fili spezzati della storia politica della destra non possono che trovare in Rauti la colla giusta per tornare ad essere dei raccordi politicamente, intellettualmente ed emotivamente saldi; questi processi trovano vita e nuova linfa vitale, in alcuni gruppi politici quali Azione Nazionale, Francesco Storace con il suo seguito in Fratelli d’Italia”.
Gli interventi
I fili spezzati immaginati da Zucchi sono stati il leit motiv dei discorsi di chi seppe dirsi al tempo allievo e che poi divenuto adulto ha preferito percorrere ben altri sentieri. Silvano Moffa si affida alla lungimiranza rautiana per ribadire la validità ancora oggi delle sue “visioni” sull’Europa, sulla svolta della politica. Ha passato in rassegna le fasi salienti del suo percorso ideale, attualizzandolo efficacemente, al punto da suscitare una visibile condivisione dei presenti. Giuseppe Parlato con l’acume e la logicità scientifica dello storico preferisce analizzare il metodo rautiano, che altro non è che l’applicazione della sua visione del mondo alla politica, rompendo il pregiudizio bobbiano del fascista come uomo di anticultura. Il metodo rautiano è articolato, secondo Parlato, su tre argomenti: tradizione, storia e politica. La tradizione, nell’approfondimento rautiano, oltrepassa il no alla modernità confluendo nel coinvolgimento del popolo con il sociale, così da creare una nuova modernità. L’altro aspetto essenziale del suo metodo è la storicizzazione del fenomeno fascista di cui ha studiato e scritto, inserendolo sulla stessa linea retta su cui ha posto Roma o il Sacro Romano Impero. L’approdo alla politica è la sintesi come ricaduta reale del metodo, una politica che si rinnova grazie al metodo. E così – Parlato aggiunge – possiamo spiegarci facilmente le svolte di Linea Futura, la rivoluzione “impossibile” dei campi Hobbit e tutto quel che ne è derivato.
Isabella Rauti prende spunto dalle parole di Parlato per confermare che le scelte di vita di Pino Rauti sono state dettate dal suo metodo. Parla di un uomo diviso tra studio e vita, associando talvolta disordinatamente l’una e l’altra secondo i casi del destino. La laurea è frutto della “tranquillità” del carcere di Regina Coeli, della negazione della libertà di cui si è servito senza lamentarsi o danneggiarsi, ma mantenendo lo sguardo fisso alla meta. Luciano Schifone condivide soprattutto la sua avventura amministrativa, comparandola con chi da destra vuole controbattere all’isolamento generale e mediatico e tecnico.
Chiude Pasquale Viespoli, che si sofferma sulla inattualità attuale di Pino Rauti, un ossimoro apparentemente semplice gioco letterario ma fedele ricostruzione della vita di Pino Rauti. Rauti secondo Viespoli è fuori del nostro tempo, dominato da una cultura liquida che tutto brucia nella dimensione unica del presente. Rauti a protezione richiama invece la tradizione, la responsabilizzazione di contro alle facilitazioni di chi sente il peso del proprio ruolo. Viespoli legge alla sala uno stralcio di un discorso parlamentare di Rauti del 1976, in cui il politico denuncia pubblicamente, con avvincente metafora, questa società dimissionaria: “Al soldato pesa la divisa, al prete la tonaca, allo studente la scuola”. Ecco perché pur dopo le sue scelte politiche distanti dal modello rautiano, Pasquale Viespoli oggi arriva a dire che la destra per tornare ad essere vincente deve ricordarsi del valore culturale di Pino Rauti, della radice nazionalpopolare di un popolo che Rauti scrisse “è stato nostro e può tornare ad essere nostro”.
In prima fila Gianni Alemanno e Francesco Storace: viene loro chiesto di prendere la parola al termine del dibattito, preferiscono tacere.
[Fonte: www.barbadillo.it]