Pino Rauti è morto il 2 novembre del 2012, due lustri fa. Aveva quasi 86 anni. La camera ardente venne allestita nella storica sede nazionale della destra missina e postmissina, in via della Scrofa numero 39 a Roma. Alleanza nazionale era stata sciolta tre anni prima. Fratelli d’Italia sarebbe stato fondato di lì a un mese, a dicembre. Alcuni vecchi camerati entrarono con riluttanza in via della Scrofa, simbolo ormai del “tradimento” di Gianfranco Fini, che nel 2003 aveva definito il fascismo come “male assoluto”. Indi, lo stesso Fini, andò ai funerali di Rauti, il 5 novembre nella basilica di San Marco, dietro piazza Venezia, e venne cacciato, fischiato, insultato e quasi aggredito. “Traditore, Badoglio, vai in Sinanoga”. Oppure: “Bastardo, vattene a Montecarlo”, laddove nel principato la parabola politica del leader di An si sbriciolò a causa della nota casa del cognato Tulliani.
Dieci anni dopo, quella lacerante diaspora si è come ricomposta a ridosso del centenario della marcia su Roma. Domenica 30 ottobre, Fini è riapparso in tv, nella trasmissione di Lucia Annunziata, e ha di fatto benedetto la neopremier, ammettendo finanche di aver sbagliato a entrare nel Pdl mentre Meloni e La Russa, ha detto Fini, con gli anni “hanno avuto ragione a fondare” su posizioni sovraniste, FdI. Il giorno successivo, poi, Isabella Rauti, senatrice di FdI, è stata nominata sottosegretaria alla Difesa.
In questo decennio trascorso dalla morte, la senatrice Rauti ha ricordato la figura del padre con vari convegni e il 26 ottobre scorso ha commentato così il primo discorso di Meloni premier nella parte relativa alla frettolosa condanna del fascismo: “Ripetere le parole di Meloni sul fascismo? Non sono costretta, posso anche non dire nulla”.
Per la nuova sottosegretaria, che è stata anche moglie di Gianni Alemanno, il fascismo è infatti una questione di famiglia. Ché Rauti fu fascista sin da Salò, quando fu volontario nella Guardia nazionale repubblicana. E nel Dopoguerra fu giovane missino e militante dei FAR, Fasci di azione rivoluzionaria, che vennero accusati di alcuni attentati. Il Msi era un partito strutturato in correnti e anche Rauti ne costituì una, il Centro Studi Ordine Nuovo, in cui c’erano Clemente Graziani (cofondatore), Paolo Signorelli e Stefano Delle Chiaie. Quel gruppo era già noto come “I Figli del Sole” per via del fanatismo spiritualista di Julius Evola. Per Rauti, il fascismo era rivoluzionario, lontano dalla strada parlamentarista seguita dal Msi in quegli anni. Una concezione che fu chiara in seguito quando Giorgio Almirante, lo storico leader missino, collocò il fascismo a destra in chiave nostalgica (“non rinnegare, non restaurare”).
Per Rauti e i rautiani, invece, il regime era un’idea da aggiornare per andare oltre la destra e oltre la sinistra. Un oltrismo d’antan che poi lo avrebbe portato negli anni Ottanta a teorizzare lo sfondamento a sinistra del Msi, in forza del movimentismo sancito dal nome (Movimento sociale italiano) e cancellando la dicitura “destra nazionale” cara ad Almirante. Il carisma di Rauti aveva una presa fortissima sui giovani camerati (sua fu l’idea dei Campi Hobbit tolkeniani) e nel 1979 fu addirittura la Pravda sovietica a definirlo come “incendiario d’anime”. Nel fascismo rautiano confluivano Evola, l’anti-occidentalismo, la lotta al capitalismo e al comunismo, il terzomondismo, la causa palestinese (ovviamente in funzione anti-israeliana) e il risveglio arabo, persino l’ecologismo. Fin qui la teoria e il pensiero del Rauti politico e intellettuale, che dai suoi estimatori veniva definito di “natura gramsciana”.
Nei fatti, però, il fascismo rivoluzionario rautiano si mosse in quella zona grigia formata da destra eversiva, Servizi segreti e massoneria modello Licio Gelli che elaborò “la strategia della tensione” ed esaltò il golpismo greco e sudamericano. Avanguardia Nazionale di Stefano Delle Chiaie, altro “cattivo maestro” (citiamo per tutto, la notte del fallito colpo di Stato di Junio Valerio Borghese, tra il 7 e l’8 dicembre 1970) nacque da una scissione di Ordine Nuovo, mentre nel 1969, quando Rauti rientrò nel Msi, Ordine Nuovo subì una sorta di rifondazione cui aderì Franco Freda: è il gruppo accusato di aver organizzato la strage di Piazza Fontana a Milano, il 12 dicembre del 1969.
Lo stesso Rauti venne arrestato nel 1972 per Piazza Fontana. L’accusa era di aver partecipato alla riunione di Padova di ON del 18 aprile 1969 in cui furono pianificati gli attentati ai treni nell’agosto di quell’anno: all’epoca era un giornalista del Tempo e tra i suoi testimoni a favore ci fu anche l’allora direttore del quotidiano romano, Gianni Letta, che ai giudici della Corte di Assise di Catanzaro riferì che Rauti il giorno della riunione era in redazione, dove rimase “fino a tarda ora notturna”. Nel 2008, poi, Rauti venne processato e assolto per la strage di Piazza della Loggia a Brescia, avvenuta il 28 maggio del 1974. Il pm che ne chiese l’assoluzione mise tuttavia in rilievo la “sua responsabilità morale”, quella cioè del “predicatore di idee praticate da altri”.
La parabola del neofascismo sovversivo, un vero buco nero della nostra storia repubblicana, si resse anche su un paradosso clamoroso: l’antiamericanismo teorico rautiano (e non solo) fu contraddetto da una sostanziale “vicinanza” agli ambienti della Nato e della Cia, come quelli che progettarono il colpo di Stato in Grecia del 1967. Rauti andò in Grecia a seguirlo da giornalista, ma in generale la dittatura dei colonnelli fu un modello di riferimento per tutta la galassia fascista, anche quella missina: lo stesso Almirante in una tribuna politica si augurò un colpo di Stato come extrema ratio contro l’avanzata del Pci. In tutto questo, nonostante l’originario antiparlamentarismo, Rauti si piegò alla logica democratica per farsi eleggere alla Camera dei deputati sin dal 1972 (l’anno del suo arresto). Da quel momento in poi fino alla svolta finiana di Fiuggi, il suo andirivieni dal Msi si fermò e nel 1990 battè Gianfranco Fini nel congresso di Rimini e divenne segretario nazionale. Durò un anno.
La sua linea movimentista dello sfondamento a sinistra portò il Msi a perdere alle elezioni amministrative e regionali e nel 1991 Fini tornò in sella. In ogni caso la sua corrente di “Andare oltre” fu palestra di tanti postmissini in campo ancora oggi. Uno su tutti: l’attuale ministro iperatlantista Adolfo Urso, che fu suo caposegreteria. Senza dimenticare che lo studioso che ha storicizzato la componente rautiana in un libro è Nazzareno Mollicone, padre di Federico, attuale deputato meloniano e anche organizzatore di un convegno sulla figura del generale piduista del Sid (vecchio Servizio segreto dei militari) Gianadelio Maletti, condannato per favoreggiamento per la strage di Piazza Fontana.
In pratica, non solo la destra postmissina di Meloni non ha fatto i conti con il fascismo mussoliniano, se non in modo sommario e superficiale. Ma soprattutto non li ha fatti con la stagione del neofascismo. Vedi alla voce Rauti. Appunto.
[Fonte: www.ilfattoquotidiano.it]