Italia: diventa più “anglosassone”

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[La data originale di pubblicazione del presente articolo è precedente a quella attuale – © Centro Studi Pino Rauti – Tutti i diritti riservati]

Mentre va avanti, in termini di allargamento continuo, la “costruzione” di una più vasta Europa, l’Italia è contrassegnata soprattutto da una trasformazione profonda che ha un segno ben diverso: sta diventando sempre più anglosassone e specialmente “americana”.

Alcuni dati interessanti in questo senso sono stati esposti di recente su “Affari e Finanza” da Mauro Liera, un esperto di questo tipo di analisi. Il quale scrive -a proposito delle cifre pubblicate a fine anno sui guadagni da “stock option” di diversi manager di società quotate a piazza affari- che “anche in Italia si stanno verificando due fenomeni tipici delle economie anglosassoni” .Il primo fenomeno comporta la “polarizzazione della ricchezza”, come ha accertato uno studio della Banca d’Italia del 2004, con riferimento al 2002; bene, è avvenuto che “l’1% degli Italiani più ricchi detiene il 13% della ricchezza”; mentre nel 1991 -e cioè undici anni prima lo stesso 1% ne deteneva soltanto il 9. E’chiaro -continua Marco Liera- che con l’allargamento della forbice esistente anche in Italia fra retribuzioni dei top manager e quelle dei dipendenti “questa polarizzazione è destinata a rafforzarsi, al pari di ciò che sta accadendo da anni negli Stati Uniti”.

Stati Uniti; un Paese dove “nel 1970 lo stipendio medio degli amministratori delegati delle società incluse nell’indice «S”P500» era pari 30 volte a quello di un operaio, mentre nel 2002 è volato a 360 volte (non solo per gli aumenti delle retribuzioni dei top manager ma soprattutto per l’avvento delle stock option. “Insomma, in America, nell’America che è quotata in Borsa” i benestanti diventano più ricchi e la classe media, che ne costituisce la forza lavoro migliora più difficilmente il suo tenore di vita(anzi, a volte lo peggiora). E questo sta accadendo anche in Italia…

Ma il fenomeno non riguarda soltanto i “top manager” e gli imprenditori delle società quotate in Borsa; esso è “solo uno spicchio del generale arricchimento della «upper class» nazionale. Perchè gli interessati di cui stiamo leggendo sono “gli unici soggetti” per i quali i guadagni sono resi noti in modo continuativo. In realtà -prosegue Liera- esiste “una fascia numericamente assai più rilevante di persone che si arricchisce senza comunicarlo”. Tutti i propietari di imprese non quotate, per esempio…

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