A chi volesse trovare conferma di una situazione che da tempo andiamo denunciando, e cioè l’aumento e, ancor peggio, il “radicamento in profondità” della criminalità consigliamo la lettura di una recente denuncia espressa dalla confederazione degli Agricoltori.
Siamo arrivati al punto – ripreso nei titoli da alcuni giornali – che c’è un vero e proprio “assedio dei clan” intorno al commercio della frutta e della verdura, e che di conseguenza “così la mafia gonfia i prezzi”.
Un dossier in merito è stato presentato qualche giorno fa all’assemblea della Confederazione, il cui presidente – l’attivissimo e battagliero Giuseppe Politi – non ha avuto remore nel sottolineare la gravità della situazione; e a fare anche qualche cifra. Davvero impressionante. Perché, secondo Politi, ogni anno le varie forma di malavita organizzata che “avviluppano” l’agricoltura, “guadagnano sui mercati ortofrutticoli 10 miliardi euro “sicchè il cittadino finisce per pagare a carissimo prezzo frutta e verdura, anche dieci volte di più di quanto si riesca a dare al contadino” .
A riflettere bene su questa denuncia, è uno scenario del tutto nuovo che ne emerge. Eravamo infatti abituati a ritenere che la cronica e perversa disparità di prezzi dei prodotti agricoli fra origine (contadini) e sbocco finale (consumatori), fosse determinata dalle interferenze della rete dei commercianti. Interferenze “interessate”. E anzi spesso l’Italia è stata presentata come la nazione Europea nella quale i “passaggi” commerciali erano i più numerosi, e i più “vampireschi”.
Adesso invece sappiamo che a determinare in gran parte la disparità dei prezzi sono le interferenze delle reti criminali, come ben documenta il dossier della Confederazione, un dossier “raccolto a fatica fra silenzi e paura” in un’area di mercato che ogni anno presenta un fatturato di otto/nove miliardi di euro.
Sono state fatte anche le cifre di taluni prodotti di stagione: per un carciofo – che viene venduto ad 1 euro/1 euro e 10 al consumatore il contadino incassa sui 20 centesimi; un chilo di melanzane arriva sui banchi dei mercati a 2 euro, ma il contadino viene pagato 40 centesimi, i peperoni da 35 centesimi ad 1 euro e più; e la fattura “passa” da 30 centesimi al chilo ad 1 euro e 70 ed anche più.
La Confederazione – secondo quanto riferisce Caterina Pisolini in un documentatissimo articolo sul “Corriere delle Sera” – spiega con questa differenza di prezzi che penalizza duramente i consumatori, la diminuzione dei consumi di frutta e verdura; i dati dell’Osservatori o competente parlano “per il 2005 di un calo del 1,3% pari a quasi 3 miliardi di euro per la frutta frasca e del 7,6% in meno per gli ortaggi.
Leggiamo ancora: “storie di pizzo e minacce si rincorrono lungo la penisola tra il lavoro nero di chi scarica le cassette negli ortomercati e l’organizzazione di camorristi che a Fondi si era impossessata della gestione dei trasporti delle merci agricole tanto da fissare lei stessa i prezzi di frutta e verdura dopo aver sottratto ai legittimi padroni gli automezzi. Furti a ripetizione di trattori, e sono centinaia i casi segnalati in Puglia, a coltivatori costretti per questo a vendere la merce sottocosto o a pagare un riscatto. Altrimenti il trattore viene venduto dalla malavita organizzata, da affiliati alla sacra corona unita a cosche di albanesi, in cambio di partite di droga. Furti di attrezzatura anche in Campania, dove la scomparsa di trattori è cosa frequente per piegare i coltivatori a prezzi bassi. A Vittoria, invece, segnala l’indagine, più volte prodotti arrivati dall’Africa sono stati venduti, cambiando l’etichettatura e usando altre cassette, come prodotto italiano a prezzi “italiani” da organizzazioni mafiose che ci hanno così ovviamente guadagnato, mentre i contadini si sono ritrovati la loro merce invenduta o piazzata a prezzi irrisori.”
Ci chiediamo e chiediamo: ma le sanno queste cose a Palazzo Chigi e dintorni?
Pino Rauti