L’Italia “ingiusta” delle disuguaglianze

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[La data originale di pubblicazione del presente articolo è precedente a quella attuale – © Centro Studi Pino Rauti – Tutti i diritti riservati]

Passano i mesi e gli anni. Cambiano i colori dei Ministeri ma l’Italia è sempre quella: un Paese che ha la più grossa evasione fiscale del mondo e la natività più bassa (e quindi è quello che più invecchia); è l’Italia di tutte le disuguaglianze. E quindi è quello più ingiusto dal punto di vista sociale. Ecco il “quadro” che risulta sulla base della dichiarazione dei redditi, elaborati e analizzati dal Ministero dell’Economia. con molti “dettagli” naturalmente, secondo quanto precisano i vari giornali che hanno dato alle analisi il giusto rilievo. Tra i giornali, “Repubblica” la specie per abbondanza di dati; e ne scrive Luisa Grion, al cui articolo ci rifacciamo, notando anzitutto che “un italiano su quattro dichiara redditi da fame e giura al Fisco che a fine anno non riesce a mettere insieme più di 6 mila euro; e dunque; visto che a pagare le tasse sono poco più di 40 milioni e mezzo di contribuenti “per 10 milioni e 200 mila di loro, la miseria è di casa..”.

Qualche altra cifra: il 36,3% 14,7 (milioni di persone) “guadagna fra i 12.500 e i 25.000 euro”; ma il reddito medio imponibile si ferma a 16.210 euro (e l’IRPEF media versata a 4.200).

Insomma “siamo un paese di poveri”; e con ampie disuguaglianze sociali; e bisogna  anche tener conto che anche altri centri di (qualificata) osservazione fanno riferimento a cifre diverse, come ad esempio, l’ISTAT secondo la quale i poveri in Italia non sono i “dieci milioni di cui si diceva poc’anzi ma 7 milioni e mezzo, corrispondente a 2,6 milioni di famiglie.

Così denuncia infatti l’ ultimo rapporto sulla povertà presentato dall’ Istituto, che calcola la percentuale basandosi non sui redditi dichiarati, ma sui consumi effettuati e considera povera la famiglia di due persone che spende meno di 920 euro al mese.

Ma, per tornare all’articolo di Luisa Grion, un aspetto “cruciale” di queste situazioni è dato dalle disuguaglianze. Perché, ad “ammettere una vita di agiatezza” (200 mila euro dichiarati) sono solo 55.733 persone, lo 0,14% sul totale. Ed anche “riducendo di molto la soglia della ricchezza” – prendendo in considerazione come tale i 100 mila euro – il risultato non cambia molto: si sale a 271; lo 0,67 % dei contribuenti. Lo scarto fra i due estremi è enorme e un po’ sospetto, tanto più che – prendendo in considerazione solo le dichiarazioni dei redditi degli autonomi – fra liberi professionisti, commercianti, artigiani e partite Iva uno su quattro dichiara un reddito annuo inferiore ai 6.000 euro. Cinquecento euro al mese, meno di una pensione sociale.

Si arriva così al tema, al cronico e sempiterno tema delle evasioni fiscali, che gli esponenti della sinistra localizzano nell’area degli “autonomi”; ma riferisce ampiamente la giornalista di Repubblica, “i diretti interessati protestano” e fanno notare come del mondo degli autonomi fanno parte anche le mai pagate partite Iva, o la miriade di microaziende che nel 50 per cento dei casi non riesce a superare i 5 anni di vita. «Non bisogna vedere fantasmi che non ci sono per far pagare di più le imprese» – commenta Marco Venturi della Confesercenti. Secondo uno studio degli artigiani della Cgia di Mestre, in Italia c’ è un imponibile evaso di 311 miliardi di euro, pari al 25 per cento del Pil e in termini d’ imposte la ricchezza sottratta alle casse dello Stato è di 130 miliardi. Ma di questa enorme quota solo una piccola parte sarebbe imputabile al lavoro autonomo: l’ imponibile evaso per mancata emissione di fatture e ricevute si fermerebbe ai 4 miliardi di euro. Duecento miliardi sarebbero a carico dell’ economia sommersa, 100 a quella criminale, 7 alle grandi imprese. Così si discute, si dibatte, ci si scontra. Ce n’è di “materiale” sul quale anche noi possiamo e dobbiamo permettere.

Pino Rauti

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